Biblioteca di "Lares"
Nuova Serie, vol. XLIX, MonografieTomaso Garzoni:
La piazza universale di tutte le professioni del mondo
a cura di Giovanni Battista Bronzini
1
Firenze : Leo S. Olschki Editore, 1996
[S. 683-689]Discorso LXIX
De' giocatori in universale, et in particolare
(1. ed. Venezia 1585)Il giuoco che dal signor Torquato Tasso nel suo Gonzaga è diffinito essere una contesa di fortuna, et d'ingegno fra due, et fra più, fu ritrovato, secondo il parere d'Anacarsi Scitha, per trattenimento et diletto degli animi stracchi dalle cure severe di cose gravi, per le quali han bisogno di ricrearsi alquanto, et ristorarsi in qualche piacevole trastullo, o sia privato, o publico, secondo la sentenza del predetto auttore. Et Cicerone nel primo delle Leggi mostra, che i giuochi publici fosser per la letitia, et recreatione popolare ordinati, dicendo: "Ludi publici quod sine curricolo, et sine corporum certatione fiant, popularem letitiam cantu, et fidibus, et tibiis moderanto". Et il medesimo nell'oratione Per Murena chiama giustissima quella legge, la quale versa intorno alla magnificenza de' giuochi lodando sommamente Lucio Othone dell'ordine equestre, il quale restituì quelli con suo honore, et lode alla moltitudine desiderosa, et cupida di vedergli. Et però nelle leggi civili, come nel Codice in più luoghi vengon permessi i giuochi honesti, et honorati, i quali tendono a un simil fine qual detto habbiamo. Et quindi nell'historie antiche leggiamo, che molti huomini illustri, et gravi non s'astennero da alcuni giuochi bassi per pigliarsi un poco di diporto negli alti pensieri, et cure c'haveano in capo: come Hercole domatore de' mostri, figliuol di Giove, et Alcmena più volte giocò, secondo i poeti, coi putti, per questa antedetta cagione; Socrate fu ritrovato alquante volte da Alcibiade giocare con Lamprocle fanciullino; Agesilao correva su una canna come fanno i putti, con un suo Figliuolo, alla qual cosa alluse Horatio poeta in quel verso:
Ludere par impar, equitare in arundine longa.
Il Tarentino Archita coi servitori s'accomodava a giuocare qualche volta per passar via il tempo. E Raffaele Volterrano scrive del gran Cosmo de' Medici, che essendo padre della patria, et vecchio, coi nepotini piccioli giocava qualche volta per spasso, et per diporto. Appresso a' Greci furon quattro sorti di giuochi celebratissimi, et principalissimi fra gli altri, cioè: gli Olympii, i Pithii, i Nemei, et gli Isthmii, ne' quali gran premii, et honori erano constituiti ai vincitori, et si facevano in honor die Pelope, d'Apolline, d'Archemoro figliuol di Licurgo, et di Palemone; benché alcuni, come Statio nel primo libro delle Thebaide affermino che i Giuochi Olympici, et gli Isthmii si celebravano in honore di Giove, et di Nettuno. Platone nel suo Parmenide fa mentione di alcuni giuochi detti Panathenei celebrati in Athene in honore di Minerva; et altri enumerano i giuochi d'Aeaco, celebrati presso a Egina; i Marathonei celebrati per cagione del toro ucciso da Theseo, et gli Heeraclei, celebrati in Thebe. Ma i Romani n'hebbero le migliara de' publici, et de' privati, benché con più proprio vocabolo si possan dire spettacoli, che giuochi, i quali furon instituiti per ricrear la plebe, et i cittadini, per accendergli al dispregio delle piaghe bellicose, et della morte, per spronargli all'amore della laude, et desiderio della vittoria. Onde Senofante narra di Ciro nel libro ottavo, che anche egli proponeva di questi certami, et spettacoli, con premii grandi, per essercitare la virtù degli huomini, et anco per placare l'ira de' suoi Dei. Et a questi tali luoghi antedetti eran preposti diversi giudici con diversi vocaboli (come dice il Budeo nel primo delle Pandette, et Pausania nel quinto libro) addimandati, cioè di critici, decaproti, brabeuti, mastigonomi, rhabduchi, et agonotheti. Et nessuno secondo Valerio Massimo nel capitolo degli instituti antichi, poteva mirar i giuochi stando a sedere, acciò si conoscessero gli huomini vili dalle persone effeminate et molli. Fra questi vi erano i giuochi gladiatorii, che si facevano negli amphitheatri, de' quali altrove ragionamo. Così i Secolari instituiti da Valerio Publicola in honore d'Apolline, et di Diana, che si facevano ogni cento anni, gridando il trombetta: " Venite ad ludos quos nemo mortalium vidit, neque visurus est". Così i Scenici, che si facevan ne' theatri, instituiti per cagione d'una peste. Così i Giuvenali sporchi, et immondi instituiti, secondo Tacito, da Nerone. Di poi i Luperci instituiti da Romolo, con l'imolatione di un cane, secondo Plutarco nella sua Vita. Gli Honorarii dedicati, secondo il Pontano, al padre Libero; i Taurii dedicati ai Dei dell'Inferno; i Consuali dedicati a Nettuno equestre per il ratto delle Sabine, dove ornavano di corone i cavlli, et gli asini; i Plebei, overo Circensi ordinati a Cerere dopo i re Discacciati; gli Apollinari instituiti per l'oracolo con alcuni versi, che si cantavano per conseguire la vittoria, offerendosi a Latona capre, et buoi; i Compitali dedicati, secondo Plinio, ai Lari domestici; i Capitolini instituiti, secondo Livio, per la recuperatione del Campidoglio; i Pannichidi, che si celebravano a Diana di notte, secondo Plutarco nel libro de Curiositate: i giuochi del toro essercitati dai cavallieri thessali; i Floriali essercitati dalle meretrici nude in honore di flora; et mill'altre sorti di giuochi publici, che per brevità tralascio da parte. Fra giuochi privati poi si trovano presso agli antichi il giuoco delle bagatelle, o delle caleselle, i maestri de' quali erano detti panthomini, che furono instituiti, secondo Herodoto nel primo libro, dal re Ciro, per cagione de' popoli lidii vinti, et soggiogati da lui. Del giuoco del lanciare o palo, o sasso, o altro, ne fa mentione Plauto nel suo Rudente. Del giuoco dei putti sparti ogni anno celebrato, nel quale giocondamente soffrivano i flagelli, et le battiture fino alla morte, ne fa mentione Plutarco ne' suoi Apophtegmi; del giuoco de' giudici ne fa mentione Elio Spartiano nella Vita di Severo imperatore. Martiale nel quinto libro fa mentione del giuoco della bussuola; Homero nell'ottavo libro della Odissea commemora il giuoco delle piastrelle. Heliogabalo imperatore (come scrive Lampridio) instituì il giuoco delle sorti convivali. Del giuoco del pirolo, o della moscola ne fan mentione Virgilio nel settimo della Eneida, et Homero nel decimo ottavo della Iliade. Platone nell'Euthidemo pone in numero quello, quando si leva la sedia di sotto a uno, et si fa cadere supino. Quello del caminare su la corda è notato da Giuvenale nella satira quarta decima. Quelo della corrigiuola è posto dal Pontano nel libro de Aspiratione. Quello dei casteletti con le nocelle è commemorato da Suetonio nella Vita d'Augusto. Quello dell'amore, che è detto par et impar dagli antichi, è posto da Platone nel suo Liside. Quello del tocco fu giuoco degli Itali, et massime de' pastori, il qual da Cicerone nel libro de Divinatione è chiamato micare digitis. Onde Nemesiano dice: "Digito iactare Micantes". Apollonio nei suoi Argonautici descrive Cupido fanciullo giuocare a quello delle frulle, detto astragalus latinamente. E il Volterrano conta, che i Germani, et i Traspadani attendono ancora loro a questo giuoco. Di quello della balla da vento, et della balletta, che fu inventione, secondo Herodoto nel primo libro, de' popoli lidii, o, secondo Hippaso, de' Lacedemonii, o secondo Iuba Maurusio, d'un certo Phenestio pedotriba, o, secondo Plinio, di un certo Pithone, o, secondo Agalli Cercirea grammatica, di Nausica, o secondo Dicearco, de' Sycionii, ne fa mentione Horatio nella Poetica, et Homero nell'Odissea, dicendo:
Ille pilam dextra missurus ad astra reflectit
Terga retro, rursusque ad magnum prominus ictum
Consurgens terram procumbit pronus ad imam.Dicono molti, che la gioventù pheacia fu quella che giuocò prima alla balla, nel qual giuoco è celebrato da Atheneo nel primo de' suoi Ginnosofisti, Demotele fratello di Theognide Chio, et un certo Cherofane da lui nominato, et Ctesibio Chalcidense filosofo, et i cortigiani del re Antioco. Di questo giuoco in particolare scrisse anticamente Timocrate Laconico, et Galeno, in un suo libro intitolato Dell'essercitio della balla. Del giuoco da scacchi s'attribuisce l'inventione a Palamede nella guerra troiana, overo agli Egittii, secondo Iodoco Damauderio. Il Vida illustrò questo giuoco scrivendo quel bel libro la Scaccheida intitolato da lui. L'inventione del giuoco da dadi s'attribuisce pur a Palamede, e di questo giuoco scrissero i precetti in un libro Diodoro Megalopolitano, e Theosseno, insieme con Claudio imperatore, come narra Suetonio nella Vita di quello, il qual narra parimente, che Domitiano imperatore si dilettò di cotal giuoco estremamente; e il Garimberto narra l'istesso d'Henrico d'Inghilterra. Questo giuoco fu però vietato dalle leggi romane, onde Horatio dice:
Seu mavis vetita legibus
Alea.Et Cicerone scrive un certo Lenticolo, che giocava con Antonio, esser stato per questo giuoco condannato. Et di più leggesi, che un certo Cobilone Lacedemonio mandato ambasciatore a Corinto, per far lega, ritrovando i principali, et più vecchi de' Corinthii, che giocavano a dadi, se ne partì senza far altro, dicendo, che non voleva macchiare la gloria de' Spartani con questa infamia, che fossero detti d'haver fatto lega con giocatori. Et questo giuoco fu già tenuto in tanto vituperio appresso a huomini grandi, che il re de' Parthi mandò al re Demetrio dadi d'oro per rinfacciarli la sua leggerezza; con la qual vanità i Proci di Penelope, presso Homero son descritti giocare innanzi alla porta sua. Et in questo giuoco scrive Phania esser stato invitto un certo Leone Mytileneo, sì come Hiperide rhetore è celebrato in tal giuoco da Philetero nel suo Esculapio. I nostri moderni giuochi da fanciullo sono giocare alla polvere, alle girelle, al casteletto, alla fossetta, al pirlo, al girlo, alla schiba, alla lippa, al pandolo, alla capra, al pal di Roma, a cicerlanda, a tiralunga, al melone, alla fava, alla semola, alla buschetta, a pisso e passo, alle scondaruole, alla gatta cieca, a primo e secondo, al tocco, alla corregiuola, al pari e dispari, alla pisa, alle comari, al gioco della scova, al bal rotondo, a buon compagno son stà ferito, alle scudelle, alla galea, et simili. Quei da grandi c'han pur del fanciullesco in parte, usati nelle veglie, sono il giuocare alla civetta, alla scarpaccia, al bal delle botte, al ballo tondo, al becco mal guardato, alla rana, far le proposte, dar luogo al compagno, a tre cappon M. l'Abbate, alla mia passera è nel miglio, a commandella, ai re, alla tisbina, a tigner chi falla, et altri tali. Alcuni altri son giuochi da taverne, come la mora, le piastrelle, le chiavi, e le carti, o communi, o tarocchi, di nuova inventione, secondo il Volterrano: ove si vedono danari, coppe, spade, bastoni, dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, l'asso, il re, la reina, il cavallo, il fante, il mondo, la giustitia, l'angelo, il sole, la luna, la stella, il fuoco, il diavolo, la morte, l'impiccato, il vecchio, la ruota, la fortezza, l'amore, il carro, la temperanza, il papa, la papessa, l'imperadore, l'imperatrice, il bagatella, il matto; e con le carte fine, i cuori, i fiori, e le picche; dove che si giuoca a tarocchi, a primiera, a gilè col bresiano buscando una da quaranta almen per volta, a trionfitti, a trappola, a flusso, a flussata, alla bassetta, a cricca, al trenta, al quaranta, a minoretto, al trenta un per forza, o per amore, a raus, alla carta del mercante, all'andare a pisciare, a cede bonis, all'herbette, a sequentia, a chiamare, a tre, due, asso, a dar cartaccia, a banco fallito, et altri simili. Et con la balla si giuoca alla lunga, alla corda, alla facciata, con la mano, col scagno, con la rachetta, col bracciale, al calzo, et alla balla da donne, come si costuma in Conigliano. Così al pallamaglio dalla larga, al pallamglio da tavola, al castello con le balle di piombo, ai zoni, ai dadi da tavole, a quei da farina, a scarica l'asino, a toccadiglio, a sbarglino, a tre dadi, a sanzo, e all'ultimo a schacchi, adoprando il re, la reina, gli arfili, i rocchi, i cavalli, le pedine, con tanti giuochi da partiti, con tanti schacchi matti su quel tavoliero, che all'ultimo si adopera qualche volta da dar sul capo al suo compagno, mentre si giuoca. Il libro finalmente del Materiale Intronato scopre galantamente i giuochi delle vegghie senesi, che, potendo esser di soddisfattione a molti nel sentirgli, sono i seguenti, cioè della pace, del pellegrino, del proposto, delle parole, et de' cenni, del peso, del podestà, dell'amazoni, dell'abc dell'archivio, degli augurii, delle questioni, delle qualità desiderabili, del ritratto della bellezza, de' roversci, de' ricordi, del senato amoroso, de' sogni, del sacrificio, delle suppliche, delle saviezze, dell'hospedal de' pazzi, del segreto, de' sospiri, degli schiavi, delle serve, degli stroppiati, delle trasformationi, del tempio di Venere, delle melensagini, del medico, del mal che ben ci metta, della maggior pazzia, delle vendite, delle usanze, degli ubbriachi, del versificare, della ventura, della mutola, della nave, della novella, delle nove del forno, dell'oracolo, dell'orecchia, dell'ohi mi fa, dell'oimè c'ho perduto il cuore, dell'oh ella è bella, del progresso d'uno innamorato, della pittura, delle prove, dei proverbii, delle pietre, della patienza, dell'andreoccia, dell'accattar per gli frati, delle arti, dell'atturato, de' bisticci, delle bestemmie ridicolose, delle belle parti, delle bugie, delle comparationi, della chiromantia, delle corone, dei citi vezzosi, de' citi piccini, della dimenticanza, de' desiderii, del dimandar consiglio, delle disgratie, de' diffetti comportabili, et incomportabili, de' disperati, del dar beccare all'ucello, degli epitaffi, degli errori in amore, delle fate, della figura d'amore, della felicità, de' falli, et delle penitenze, delle furberie, delle ghirlande, delle gratie che si chieggono gli sposi, del guffo, del gridar un'arte, degli hosti, dell'inferno amoroso, delle imprese, della immortalità, delle ingiurie, delle incantatrici, degli inganni, degli indovinelli, della invidia, de' lavoratori, delle lusinghe, delle lettere aperte, dell'elemosine et de' preghi, della lettiera, delle lettere, delle lingue, delle muraglie, del merito, delle minaccie, del modo d'acquistar la gratia, del maestro da scuola, della musica del diavolo, e del cancaro che lo magni. Et questo basti.
Annotatione sopra il LXIX Discorso
Vedasi intorno ai giocatori Celio Rhodigino, nel libro decimo, e cap. 9 delle sue Antiche lettioni. Et medesimamente Celio Calcagnino, a carte 287, 292 et 294; et Alessandro d'Alessandro, nel 3 de' suoi Dì Geniali, al cap. 21. Et Pietro Crinito, nel libro decimo settimo de Honesta Disciplina, al capitolo terzo, così nel libro 24 al cap. 14. Rarissimi, et bellissimi giuochi intorno alle carte particolarmente possede m[aestro] Abramo Colorni Hebreo famosissimo ingegnero dell'Altezza di Ferrara, come quello, che talhora trasmuta le carte che sono in mano altrui, in cose da quelle molto diverse; talhora con esse prende a indovinare i pensieri dell'animo altrui; talhora mette il mazzo delle carte coperte sopra la tavola, et dice ai circonstanti, che prendano qual vogliano, et senza che lui veda, si obliga a voler che sia la tale, et è quella; hora fa questa prova, che fa pigliar due carte, et dice a quel tale, che la piglia, che si imagini qual delle due voglia che si converta in altra carta, et dopo la imaginatione, trovasi che quella che lui desidera cangiarsi, è trasmutata; hora si trova che in quella istessa carta che si desidera, che si habbi a cangiare, andando via il punto, et la pittura ordinaria delle carte, vi si trova scritto a lettere maiuscole il pensiero di colui che haveva la carta in mano, o in seno ascosa. Altre volte ha fatto, che una carta chiamata da uno de' circonstanti a sua elettione è uscita fuora del mazzo, et mille altre galantarie di questa sorte delle quali ho per sua gratia con proprii occhi veduti più di una volta, e in compagnia di più di dieci altri amici quali tutti siamo restati in una medesima maraviglia, là dove, venendo io in un ardentissimo desiderio di capire con qual mezzo faccia esso m[aestro] Abramo tai maravigliosi effetti, mi missi con molta efficacia a pregarlo mi volesse dar in ciò sodisfattione: dove che essendo tutto cortese, et di bellissime maniere ornato, non mi seppe disdire, anzi mi fece con inditii manifesti conoscere che tutte queste sue operationi sono per via di secreti occulti naturali de' quali va poi con il mezzo del suo antico ingegno tuttavia inventando cose nove stupendissime, et quello che più importa, lecite ad ogni huomo da bene, et senza niuna sorte di scropulo.